“Nella vita, se uno vuol capire, capire sul serio come stanno le cose di questo mondo, deve morire almeno una volta. E allora, dato che la legge è questa, meglio morire da giovani, quando uno ha ancora tanto tempo davanti a sé per tirarsi su e risuscitare…” Giorgio Bassani, Il Giardino dei Finzi-Contini

Nel 1984 lo scrittore giapponese Haruki Murakami viaggia nel Sud dell’Europa e tra Grecia, Sicilia e Roma, ascoltando centinaia di volte “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” nel suo walkman, scrive il suo romanzo più famoso e allo stesso tempo una rara avis nella sua produzione: Norwegian Wood (uscito per la prima volta in Italia con il titolo “Tokyo Blues”). Un romanzo atipico perchè Murakami, che con le sue precedenti opere dalle atmosfere oniriche aveva già raggiunto lo status scrittore di culto, decide di mettersi alla prova con un romanzo mainstream.
Una bieca operazione di marketing quindi? Decisamente no, solo la conferma che un grande scrittore, che possieda una propria voce ben definita, può scrivere quello che vuole.
Norwegian Wood è una storia d’amore, che inizia con un prologo dal sapore proustiano, dove la madeleine è “Norwegian Wood”, l’omonimo brano dei Beatles, che ascoltato su un volo Lufthansa, risveglia nel protagonista Toru Watanabe il ricordo di Naoko, la ragazza che aveva amato venti anni prima. La storia vera e propria è poi un lungo flashback ambientato in quel periodo, il Giappone alla fine degli anni ‘60, un’epoca in cui i protagonisti erano poco più che diciottenni e appena iscritti all’università. All’inizio della storia incontriamo Watanabe bloccato in una sorta di inerzia esistenziale: trasferitosi a Tokyo per frequentare l’università frequenta le lezioni senza alcun interesse particolare, finché non incontra Naoko, la fidanzata del suo unico amico Kizuki, morto suicida anni prima. Attraverso lunghissime passeggiate per le strade di Tokyo tra i due nascerà un rapporto sospeso tra l’amore di Watanabe per Naoko e i gravissimi problemi psicologici di lei, che non le permetteranno di ricambiarlo pienamente. Nel rispetto di uno dei canoni del genere c’è anche un’altra ragazza, Midori: solare, estroversa e sfacciata, probabilmente il personaggio più positivo del romanzo (oltre a essere terribilmente divertente). Ma non aspettatevi il classico triangolo, così come non aspettatevi una risolutiva scelta finale. O un finale rassicurante e ben definito in generale.

Watanabe è un tipico protagonista murakamiano, tanto indifferente agli eventi che lo circondano – in questo caso le rivolte studentesche degli anni ’60 – quanto profondamente concentrato su sé stesso, su i propri sentimenti: la sua crescita, alla fine, avverrà tramite l’incontro con l’amore, la malattia e la morte. Proprio questi ultimi sono temi altrettanto fondamentali di “Norwegian Wood”: tutto il romanzo è attraversato da una vena patologica che tocca ogni personaggio e alla fine i protagonisti si divideranno tra coloro che riusciranno a affrontare il mal de vivre e chi ne verrà sopraffatto.
Un’attenzione particolare merita anche la descrizione dell’aspetto sessuale. Murakami usa tutte le sfumature a disposizione: i rapporti sessuali in “Norwegian Wood” possono essere così psicologicamente violenti da corrompere i personaggi ma anche gesti connotati da un estrema spensieratezza, specialmente la masturbazione (tema ricorrente in tutta l’opera dello scrittore); Murakami sfugge da qualsiasi visione moralistica dell’argomento, senza però cercare in alcun modo la trasgressione. La sensazione che ne deriva è quella di un’estrema naturalezza.

“Norwegian Wood. Tokio Blues” di Haruki Murakami

titolo originale: “Noruwei no mori”

edito da Einaudi

pp. 379  –  euro 12

Recensione di Simone Ruffa