A volte grandi uomini nascono in luoghi impensabili. Penso a Faulkner, nato a New Albany, 7000 anime nel cuore del Mississipi, o a Twain, nato ad Hannibal, cittadina sperduta nel nord-est del Missouri. Si tratta di scrittori che resteranno, con merito, nella storia della letteratura, perché sono riusciti nell’impresa di dare un respiro universale alle loro storie di provincia, ambientate in luoghi che richiamano quelli in cui sono cresciuti. D’altronde, come ci insegna De Andrè, “non tutti nella capitale/sbocciano i fiori del male”. Per questo motivo, non stupisce affatto scoprire che Breece D’J Pancake è nato a South Charleston, nel West Virginia: fosse cresciuto in una metropoli probabilmente non avrebbe scritto quei dodici capolavori che sono i racconti di cui si compone il suo unico libro, Trilobiti. Dalla sua penna non uscirà più alcuna parola, perché si è suicidato a soli 26 anni, entrando a far parte di quel pantheon di artisti morti troppo giovani, ai quali la prematura dipartita ha garantito una gloria pressoché imperitura. Ma in questa sede non mi interrogherò sulla correttezza di questa operazione, né cercherò di capire i motivi che hanno portato Pancake ad uccidersi: quelli li sanno solo Breece e la canna della sua pistola. Il modo più onesto di onorare la sua memoria è parlare di ciò che ci ha lasciato, delle parole che ha deciso di salvare dall’oblio inevitabile che avvolge tutto ciò che si trova nel tempo. Esso è il primo dei grandi temi che Pancake affronta nei suoi racconti: il tempo, al cospetto del quale l’umanità intera non è che un brevissimo capitolo, un passaggio trascurabile. I personaggi che popolano i racconti hanno a che fare, volenti o nolenti, con la coscienza di quanto sia effimero il nostro affannarsi, di come tutto ciò che vive sia necessariamente destinato a morire. E se per un istante, nel paragrafo che conclude il primo racconto da cui il libro trae il titolo, esso sembra quasi poter essere una dimensione di rifugio (“Sento che la mia paura si allontana in cerchi concentrici attraverso il tempo, per un milione di anni”), rimane comunque un tiranno, il quale costringe l’uomo in uno stato di perenne coscienza della perdita. Il lutto non elaborato, la scomparsa delle persone care: questo è un altro tema predominante nei racconti di Pancake. Il ragazzo che non riesce a dimenticare l’amico caduto in battaglia; la donna che piange ancora i genitori, morti in un incidente molti anni prima; il tempo ci strappa le persone che amiamo, ci lascia da soli di fronte ai nostri fantasmi. E’ un pessimismo cosmico quello che permea lo stile asciutto e lapidario di Trilobiti, all’interno del quale non c’è spazio per lanascita ma solo per la sua negazione, che sia la morte o l’aborto. La natura del West Virginia, che scorre davanti ai nostri occhi e prende vita attraverso il punto di vista degli animali stessi, è violata dall’uomo che con le sue miniere l’ha trasformata da fonte di vita a fonte di morte, che aleggia nella tosse malsana da cui i personaggi di Pancake sono spesso afflitti. Questi assomigliano, talvolta, a burattini privi di vita: si muovono più per inerzia e per abitudine che per un effettivo impulso vitale. I lavoratori che Pancake ci presenta sono minatori, meccanici, camionisti, camerieri: in loro non si riscontra alcuna qualità positiva, alcuna speranza né nobilitazione attraverso il lavoro umile. Non c’è spazio in Trilobiti per un’epica dei bassifondi, per un elogio della semplicità. Il loro tirare avanti deriva da una legge naturale e la loro vita assomiglia alla insensata lotta dei galli descritta ne L’attaccabrighe. Il sogno di cambiare radicalmente la propria dimensione è presente in questi uomini ma si scontra puntualmente con la spietata realtà dei fatti, che si abbatte come una scure su ogni possibilità di vivere il futuro. I personaggi di Pancake, come il protagonista di Una stanza per sempre, sono bloccati in un eterno presente che racchiude in sé la memoria storica di ciò che è stato. Ma questo ripensare al passato è accompagnato dal dolore della perdita e dunque non è un rifugio efficace. In questo senso, la famiglia ha un ruolo tanto decisivo quanto ambivalente: essa è ciò che permette all’uomo di sentirsi parte di quel costante scorrere del tempo che investe tutto ciò che esiste ma al tempo stesso gli ricorda la sua natura caduca e lo mette faccia a faccia con la terribile coscienza che tutti, prima o poi, scompariremo.

“Trilobiti” di  Breece D’J Pankake

pubblicato da ISBN Edizioni

pp. 189  –  euro 9

Recensione di Riccardo Motti