“Non l’ho mai conosciuta da viva”. Con questa frase perentoria si apre il romanzo di Ellroy, e ne rivela il cuore pulsante. Ciò che è stata la vita di Elizabeth Short non è, di per sé, una notizia: è la solita storia di un’altra ragazzina di provincia che sogna di fare l’attrice, e si trova invece a far parte di quell’informe massa di falliti dei quali Elizabeth Short, alla fine degli anni ’40, è patria indiscussa. E’ la sua morte ad essere motivo di scandalo, le condizioni in cui il corpo è ridotto, le orrende torture a cui la ragazza è stata sottoposta. Questi elementi portano il caso Short sulla bocca di tutti. Loew, ambizioso procuratore distrettuale, sente profumo di gloria e affida il caso ad una coppia di agenti da copertina, con una notevole operazione mediatica. Lee Blanchard, ex peso massimo pluridecorato, soprannominato “Fuoco”, e Dwight “Bucky” Bleichert, ex medioleggero da poco entrato nella polizia, detto “Ghiaccio”, sono i prescelti.
Fuoco e Ghiaccio devono dunque risolvere il caso Short, ma ben presto quella che negli intenti dei piani alti dovrebbe essere una parata trionfale, si trasforma in una discesa all’inferno. I due agenti, già invischiati per conto loro in un losco ménage à trois con una ragazza di nome Kay, si ritrovano immersi in un caso che va ben oltre una classica caccia all’uomo, la cui soluzione getterà una luce nuova, e non certo positiva, sui protagonisti, sul distretto di polizia e sull’America di quel tempo. Proprio per questo il romanzo di Ellroy, tratto da una storia vera, è stato definito a ragione uno dei capolavori della letteratura hard boiled. Da un lato, egli resta strettamente fedele alla tradizione del genere, che prevede una serie di invarianti come il punto di vista di uno sbirro-narratore (in questo caso Bleichert) ed una trama molto complessa, che nei capitoli conclusivi culmina in una serie di colpi di scena. Dall’altro l’autore riesce a dare un respiro più ampio alla sua storia, fornendoci un memorabile spaccato delle oscure forze che si agitano nell’America del secondo dopoguerra, delle quali Los Angeles è vista come punto catalizzatore. E non a torto. Nel sogno fittizio di Hollywood, nel becero sventolare lo slogan everybody can do it, il sogno americano si svela per quello che è realmente: uno specchio per le allodole, un incubo fatto di lustrini e paillette. In questo senso, i personaggi di Ellory restano ben carattarezzati e completamente umani, pur essendo in effetti dei modelli applicabili all’infinito. Così al fianco di figure classiche come il procuratore distrettuale senza scrupoli, lo sbirro disincantato e la femme fatale si innestano perfettamente altri personaggi la cui psicologia è più complessa, su tutti i componenti della famiglia Sprague. Essi sono il prisma della narrazione, dal quale la luce del male che abita la città degli angeli irradia i suoi raggi più oscuri.
Ma se la società nella quale viviamo oggi sta in un rapporto di filiazione diretta con quella che lo sguardo spietato e pessimista di Ellroy ci descrive, si capisce come l’hard boiled sia un genere dotato di potenzialità che la critica tende ad ignorare. Lungi dall’essere una disarmante constatazione che vede la corruzione come unica forza dominante nella realtà, un romanzo come Dalia Nera tratta una dinamica che va ben al di là della sua pur riuscita ambientazione storica. Il respiro esistenziale di questa opera abbraccia il lettore, mostrandogli come le ombre siano più fitte proprio là, dove le luci sono più intense.

“Dalia nera” di James Ellroy
edito da Mondadori
pp. 349  –  euro 9,50