adelphi il processo kafka franzQuest’anno ho deciso di leggere per ogni mese autori di una nazionalità, così ho deciso di dedicare Gennaio agli autori della Repubblica Ceca (o comunque di quella zona, quindi anche precedenti all’effettiva formazione della repubblica).
Franz Kafka quindi mi è sembrata una scelta obbligata, avevo infatti già avvicinato l’autore praghese due anni fa cominciando “La Metamorfosi”, che però non mi era piaciuto, non lo finii neanche. 
Allora per capire se avevo effettivamente un’avversione per il modo di scrivere di Kafka o semplicemente non era il momento adatto per leggerlo, ho deciso di riprovarci.
L’esperienza è stata sufficientemente positiva, lo stile onirico, kafkiano appunto, mi ha incuriosito fino a un certo punto, anche se devo dire che ho trovato la prosa decisamente troppo monotona per poter catturare l’attenzione per più di 200 pagine di romanzo senza che “succeda” nulla a livello di svolgimento della trama.
Come molti sapranno il libro parla di Josef K., un procuratore di un istituto bancario che viene svegliato una mattina e posto in stato di arresto.
Senza che nessuno gli spieghi la motivazione di tale arresto, K. è costretto a presentarsi di fronte a un assurdo tribunale che deve giudicarlo per non si sa quale crimine, presunto o effettivo. 
K. è comunque un uomo cauto e sicuro di sé, così inizialmente non si preoccupa di ciò che ritiene essere un mero errore giudiziario.
Tuttavia la faccenda si complica, i deliri del giudice istruttore lo lasciano sconvolto, come anche il fatiscente edificio nel quale ha luogo il processo stesso.
K. comincia a preoccuparsi e la sua ansia si acuisce con la sua visita ai claustrofobici uffici del tribunale, alloggiati in un piano ricavato dal sottotetto di un condominio, con pochissime finestre e nei quali il colore cupo del legno e il suo odore rendono l’atmosfera pesante.
La descrizione di questo luogo è certamente la parte meglio riuscita del romanzo, esprime la sensazione di frustrazione onirica che K. prova nell’acquistare consapevolezza di non riuscire in alcun modo a sbloccare la sua situazione; inoltre devo dire che per me la sensazione di straniamento è stata amplificata dal fatto che proprio la descrizione di questi uffici mi ha ricordato un film visto qualche anno fa, “Essere John Malkovich” che si svolgeva in un luogo simile, anche sa dallo stile più moderno. Anche il film ovviamente era a stampo onirico, surreale e quindi a contribuito a veicolare l’atmosfera che Kafka ha creato.
La pecca maggiore del libro però è stata per me la lunghezza, decisamente superiore a quella dedicabile alla storia, specialmente con una prosa che io ho trovato insufficientemente brillante.
Non avendo altri romanzi o racconti con cui confrontarlo comunque ne consiglierei la lettura a chiunque volesse affrontare questo particolare autore, ma in una classifica degli scrittori cechi che ho letto (per la verità finora solo tre), sicuramente lo posporrei a Kundera e Hrabal.
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“Il processo” di Franz Kafka
edito da Adelphi
pp. 238  –  euro 11
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