chiare lettere armi un affare di stato autori variLa guerra non è più quella di una volta. Sembra che con la scomparsa del servizio di leva obbligatorio sia sparita dalla mente dei cittadini, che gli orrori delle guerre mondiali siano lontani in un angolino della memoria. Ma se pensate che ormai il conflitto sia diventato un problema marginale (nei paesi moderni), che gli stati civilizzati e democratici non guadagnino più come un tempo sulle armi, basterà leggere qualche pagina di questo libro e si aprirà un mondo. Un mondo tutt’altro che positivo. E da dove cominciare se non dal nostro paese che negli affari loschi è sempre il primo della classe?

“L’Italia, che nella sua Costituzione dichiara di ripudiare la guerra, ha venduto armi per 3,2 miliardi di dollari in 5 anni”.

A prima vista sembra una cosa grave. In realtà è molto molto peggio, specie considerando quanto segue. Innanzitutto le armi non sono state vendute agli eserciti regolari di altri stati ma ai ribelli delle zone in conflitto del pianeta: Libia, Grecia, Medio Oriente, Africa. Ovunque ci sia una situazione problematica c’è sempre uno stato pronto a peggiorarla fornendo armi, mantenendo acceso il conflitto e causando milioni di morti e sfollati. Ma chi è di preciso che vende questi armamenti? Viene da pensare a contrabbandieri e a un gigantesco mercato nero, ma non è affatto così e una citazione lo riassume bene: “Il 90% delle cose raccontate sul cosiddetto mercato nero delle armi sono in realtà finzioni degli scrittori e immaginazioni dei politici. Non ci sono segreti in questo mondo, tutti sanno cosa stai facendo. Se le armi vengono contrabbandate, sicuramente è perché dietro c’è qualche agenzia governativa”. Il saggio analizza a fondo l’operato di molte aziende in tutto il mondo, concentrandosi in particolare sul boss Italiano, Finmeccanica. Scarsa trasparenza, tangenti, corruzione, mancanza di scrupoli. Tutte caratteristiche comuni di uno dei settori più dannosi e redditizi dell’economia, con un giro mondiale da 1700 miliardi di euro all’anno. E il titolo ci ricorda una cosa importante: lo Stato con la guerra ci va a braccetto, anche se vuole mostrare il contrario. Politica e Industria sono profondamente legate, specialmente quando si parla di guadagni, perciò lo Stato è ben attento a non pestare i piedi al settore della difesa; attenzione che si nota dal seguente dato: “Nel 2012 L’Italia ha destinato al comparto della difesa 23 miliardi di euro”. Non c’è molto da aggiungere, è semplicemente assurdo. Specie considerando il periodo di crisi in cui si trova la Repubblica, che ha tagliato senza pietà in altri campi come è successo per il Fondo per le politiche sociali (risorse a favore dell’infanzia, dei giovani, degli anziani non autosufficienti, della famiglia e delle pari opportunità) che è passato da 1,59 miliardi di euro nel 2007 a 144 milioni nel 2013. Per non parlare dei settori Istruzione e Sanità, che dovrebbero essere gli ultimi a essere toccati.

Ogni singolo ambito della guerra puzza di denaro sporco e sangue innocente: non c’è una sola parte di questo grande e marcio meccanismo che rechi un vantaggio alla società, come invece vogliono farci credere i media e i politici. Questo saggio è un monumento alla pace, che incessante spoglia il conflitto di ogni valore positivo con una forza che solo la verità può avere. Da leggere assolutamente, una cannonata.

.

“Armi, un affare di Stato” di Duccio Facchini, Michele Lasso, Francesco Vignarca

edito da ChiareLettere

pp. 238  –  euro 14

.

Recensione di Giulio Quarta

.