In questo romanzo emerge sia l’esperienza professionale di Pennac, che è stato insegnante per vari anni, sia la sua esperienza personale di “somaro”. Il giovane Pennacchioni (vero cognome dell’autore) era infatti un somaro archetipo, completamente rassegnato e masochisticamente autocompiaciuto del suo ruolo di incapace.
Il libro, a mezza strada tra autobiografia e saggio sulla scuola, consiste più che altro in una lunga digressione che prende le mosse dall’infanzia del Pennac somaro per passare alla sua vita da insegnante. Attraverso una serie di aneddoti Pennac racconta allo stesso tempo la frustrazione del perenne “insufficiente” e il senso di inettitudine dell’insegnante di fronte a classi che non è in grado di gestire né capire.
Non esiste quindi una vera e propria trama, i capitoli si susseguono legati da passaggi più o meno evidenti, e a volte da veri e propri voli pindarici; alcuni di essi sono interessanti, anche con una certa ironia, ma a volte l’autore deborda nel grottesco scagliandosi, novello Don Chisciotte, contro i mulini a vento della nuova società occidentale, pervasa dal mondo del consumismo e della pubblicità, demonizzandola in toto senza saperne discernere le varie sfaccettature.
Fino a tre quarti del romanzo, se non di più, ciò che esprime l’autore è un mix di buon senso ed evidenza, quindi raramente opiniabile, ma è da questo punto che comincia a perdere qualche colpo, gettandosi in continue invettive dantesche contro “Nonna Marketing”, una guru della publicità intercettata facendo zapping che Pennac erge a rappresentante della società consumistica e pubblicitaria. Pennac si rivolge direttamente alla nonnaccia [sic], accusandola di essersi “camuffata e piazzata con le fauci spalancate all’uscita delle scuole per divorarti i cappuccetti rossi consumatori”.
Sta al lettore decidere se concordare con Pennac, farsi semplicemente quattro risate per questa frizzante uscita o rimanere leggermente inquieto dal modo in cui l’autore pone la scuola come fonte unica e insostituibile della cultura, ergendo gli insegnanti a unici degni mentori dell’umanità.
Insomma, sebbene il libro sia a volte più o meno una evidentemente difesa (sconfinante sporadicamente nell’esaltazione) della scuola e degli insegnanti, non mancano i mea culpa dell’autore che privano l’opera di una qualunque concezione di “manuale di vita”.
In conclusione un libro non difficile, forse meno interessante per chi è ormai completamente esterno alla scuola che vale la pena leggere anche se nel suo finale tende a trascinarsi faticosamente verso la conclusione.
Non è sicuramente adatto al lettore che cerca nei libri particolari emozioni, né a chi è a caccia di argomentazioni complete ed esaustive: si tratta in sostanza di una lunga chiacchierata (monologo per dire il vero) con l’autore.

“Diario di scuola” di Daniel Pennac
edito da Feltrinelli
pp. 241  –  euro 8