coppola ferrara nini graniEsistono libri che meritano davvero di essere letti e riletti per la loro infinita bellezza e il mio timore, ora, è di non riuscire a dire abbastanza di quest’opera d’arte e del suo autore.

Nini Ferrara, regista, drammaturgo, fondatore e Direttore Artistico de “Le Officine Teatrali” di Roma, esordisce in letteratura con “Grani”, un testo narrativo che presenta innumerevoli affinità con la Poesia. “Grani” è infatti una prosa volutamente poetica in cui ogni parola assume un  ruolo preciso, atto ad innescare meccanismi di corrispondenze e di analogie, testimoni della realtà delle emozioni e dell’ignoto.

“Grani” è composto da sette capitoli, ciascuno con un personaggio diverso – forse sempre lo stesso – un personaggio che in prima persona racconta un momento topico della propria esistenza, si tratti della morte, dell’amore, del viaggio fisico e metafisico alla ricerca di una perduta o di una nuova identità. Ciascun racconto prende vita da una sorta di illuminazione prodotta da alcuni elementi, apparentemente insignificanti, la cui forma allude al grano, appunto: una goccia di pioggia, di cera o di inchiostro, una nocciola custodita in una tasca, un granello di sabbia, una cellula in fondo agli occhi. Si tratta di vere e proprie epifanie della memoria, disseminate qua e là, lungo il testo, sparpagliate e lasciate crescere, come il grano, fino a divenire segni legati alle impressioni sensibili, segni che trasmettono la rivelazione di altri segni, immateriali, essenziali, quelli dell’Arte.

Visivamente ci si trova innanzi a una narrazione la cui sintassi è paratattica, il cui periodare spezzato crea continuamente stupore nel senso etimologico del termine, invita cioè il lettore a una sorta di pausa riflessiva, di attesa. Questo è lo stile inconfondibile di Ferrara, uno scrittore che sopprime gli elementi previsti dalla normale costruzione grammaticale (ellissi), che  inverte il consueto ordine sintattico degli stessi (anastrofe) creando poesia, coinvolgendo il lettore nel lirismo più puro. Frasi prive di congiunzioni coordinative si alternano a frasi anaforiche, le cui ripetizioni rallentano il ritmo narrativo, suggerendo così un lavoro a ritroso, il medesimo effettuato dall’io narrato, nonché dall’io narrante. Le parole, addirittura i segni della punteggiatura, acquistano rilievo, risaltano, “si distaccano” (verbo che ritorna spesso) dal fluire della narrazione per divenire messaggio, identità  in quanto tale.

Il bellissimo racconto iniziale, intitolato La vigilia, rivela un io che “recide tempi e spazi” per aderire soltanto ad un “fragile nulla” che è il suo presente, dimensione che ingloba ciò che è stato e ciò che sarà. Vigilia intesa quindi come veglia, quella che si fa a un defunto prima della sepoltura (il protagonista si rivolge infatti alla donna perduta), momento di raccoglimento dell’animo, in cui l’io esprime in modo puro e appassionato l’esaltazione dell’assenza, in cui vi si immerge con una partecipazione quasi mistica e sensuale. È in quel presente che nascono appunto corrispondenze segrete tra le cose e l’ignoto, e la bravura di Ferrara è di saperle comunicare attraverso una scrittura le cui parole sono “sospese tra me e te in un luogo che non so pensare. Dove sono tutte le parole. Prima che divengano. Accadano.

Vorrei definirla una danza letteraria, quest’opera di Ferrara, poiché sembra davvero la danza dell’io  con la sua memoria, al fine ultimo di entrarvi in comunione: “E avverto di dover muovere un nuovo passo per poter rientrare qui.” Non a caso, più volte lungo la trama, lo scrittore fa danzare i suoi personaggi: ecco allora che in “Bianco” vediamo una donna, intenta a pulire un pavimento, abbandonarsi a “una musica che nessun altro può udire”; in “Sabbia” un turbinio di granelli, volteggianti nel vento, creare una sublime figura femminile; in “Fili” un ballo sfrenato della folla, smuovere l’apparente staticità di una coppia al telefono, desiderosa di estraniarsi dalla realtà per ricrearla: “E cosa staremmo vivendo? La verità che inventiamo, parola dopo parola. Io. Lei.” E tale armonia coinvolge la scrittura stessa, una scrittura “che ammanta”, che incanta.

È un’opera complessa “Grani”, che indaga i temi fondamentali dell’esistenza con delicatezza e sensibilità, lasciando che siano le sensazioni uditive e tattili a condurre il tutto. Elementi aggrovigliati, matasse, nodi, legano e districano il pensiero, fili del telefono annodano voci, pieghe della gonna, così come pieghe della pagina divengono cardini, certezze. Da qui, il desiderio di toccare quei solchi scavati da una fede nuziale nella pelle di un uomo, quei graffi incisi su una valigia di cuoio, o quelle figure di gesso attaccate a una parete che, affiorando, ricostituiscono un passato perduto. Da qui, la viva impressione di ascoltare poesia pura – si pensi alla musicalità della lingua siciliana “disseminata” nella narrazione – così come di udire il rumore del vento, della pioggia, dei passi dei protagonisti, così decisi, così necessari da ripercorrere e, nello stesso tempo, da compiere.

Non resta che leggerlo ed amarlo, questo straordinario lavoro letterario, pubblicato dall’editore trapanese Salvatore Coppola, noto per il suo grande impegno antimafia, recentemente mancato.

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“Grani” di Nini Ferrara

pubblicato da Coppola Editore

pp. 164  –  euro 13,50

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Recensione di Alessia De Marchi

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