scopa sistema david foster wallace einaudiCon la sua morte nel 2008 ─ inattesa, lacerante, terribilmente prematura ─ Wallace ha lasciato sgomenti le sue schiere di ammiratori (cui si sono presto aggiunte, come era inevitabile, moltitudini di adoratori, per così dire, “post-mortem”).

Ma invece di lasciarsi risucchiare nel vortice delle pubblicazioni postume, conviene andarsi a rileggere il “vecchio” DFW. A partire magari proprio da “La scopa del sistema”, primo romanzo pubblicato dall’allora 25enne americano (il romanzo uscì nel 1987 ed era ispirato alla sua tesi universitaria). Un libro che ha fatto gridare al miracolo la critica e lanciato l’imberbe scrittore di Ithaca direttamente nell’olimpo dei grandi della letteratura.

Il dato anagrafico, in questo caso, non è un elemento trascurabile. A 25 anni, l’età in cui normalmente un giovane, quando va bene, si barcamena con l’università, Wallace si baloccava con la sua seconda laurea in Filosofia e buttava giù un racconto del genere. Così, come un adolescente può scrivere poesie da chiudere poi pudicamente nel cassetto, lui dava vita a questo romanzo pazzesco dove già si trovano, in nuce, i principali spunti della sua poetica.

L’ironia, la follia, il surreale, la schizofrenia della modernità vista con gli occhi di un ragazzo che di lì a poco sarebbe divenuto il precursore della post-modernità letteraria, aprendo una strada oggi affollata di epigoni più o meno degni.

Anche lo stile, acerbo in alcuni passaggi, è già il suo: macchinoso, compiaciuto, cerebrale, paranoico. La lettura, come è nella cifra di DFW, si sostanzia in un atto d’amore del lettore, che ben volentieri (di solito) si sottopone alla faticaccia intellettuale di star dietro al poderoso turbinio della sua mente. Una competizione tesa fino all’estremo con la logica e la tenuta della lingua.

La trama? Intricata e inesplicabile, come sempre. E come sempre affidata ad un caleidoscopio di personaggi e situazioni del quale è arduo (e forse inutile) ricostruire il filo. Basti accennare che c’è di mezzo una vecchina scappata dall’ospizio portandosi dietro 25 sodali, la pronipote Lenore che si mette sulle sue tracce, un pappagallo predicatore che va in onda su un canale tv religioso, un ingegnere bulimico e un capo ufficio frustrato.

Ma chi conosce e ama Wallace sa che la trama non è che una sovrastruttura, un pretesto per lanciarsi in un’avventura che va vissuta appieno, senza condizionamenti.

È una palestra impegnativa, che si può amare oppure odiare con la stessa intensità. Ma che certamente non lascia, né mai lascerà, indifferenti.

“La scopa del sistema” di David Foster Wallace

edito da Einaudi

pp. 533  –  euro 15

Recensione di Giuseppe De Marco